domenica 2 dicembre 2012

Esclusiva dei Siciliani: Nino Di Matteo, non ci fermeranno



Nino Di Matteo: “la “Trattativa”  Stato -Mafia ci fu e il contatto venne inizialmente cercato da esponenti delle Istituzioni”

Intervista di Pino Finocchiaro

Nino Di Matteo, sostituto procuratore della Dda di Palermo, è il componente più anziano tra quelli legati al pool che indaga sulla trattativa. Tocca a lui guidare l’accusa nel processo contro il generale Mori e nella richiesta di rinvio a giudizio per boss, carabinieri e politici coinvolti nella trattativa. Imputati e testimoni di quelle vicende ruotano attorno al sistema di poteri occulti che rendono potente, osservata e temuta la Mafia Grigia. Tra loro, un vero boss della cupola dei colletti bianchi come Rosario Cattafi, detentore dei più grigi tra i misteri d’Italia, legato da sempre agli ambienti più ombrosi dei Servizi e delle Trame Nera nel rapporto costante con i leader di Cosa Nostra. Alla sbarra ministri e generali accusati di aver stipulato un patto con Cosa Nostra. Nella memoria depositata il 5 novembre scorso – l’ultimo atto firmato dal procuratore aggiunto Antonio Ingoia prima di partire per il Guatemala – i pm spiegano che la “trattativa” non “è stata limitata a obiettivi tattici come la tregua per risparmiare gli uomini politici” o “l’allentamento del 41 bis” ma “un nuovo patto di convivenza Stato-mafia, senza il quale Cosa Nostra non avrebbe potuto sopravvivere”. Una verità che emerge pian piano tra la neghittosità dei politici e la reticenza di chi si trincera dietro la ragion di Stato. Nino Di Matteo ne parla in esclusiva per i Siciliani-Giovani.



- “L’unica vera Ragione di Stato è quella verità che questo Ufficio non ha mai smesso, e mai smetterà, di cercare”. Scrivete nella memoria a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio per  minaccia a corpo dello Stato che vede imputati boss, uomini delle istituzioni ed esponenti della politica. Il riferimento è alla trattativa Stato-Mafia all’epoca delle stragi del ’92-’93. Perché, dopo vent’anni la verità fa ancora paura?

     Tante volte mi sono chiesto, e continuo a farlo anche oggi, quali siano le reali motivazioni della manifesta ostilità nei confronti dell’ inchiesta sulla trattativa “Stato-Mafia”. E’ chiaro che la critica, quando proviene da chi conosce le carte ed articola in buona fede il suo ragionamento, è sempre legittima. Ritengo invece inaccettabili i  ripetuti e violenti attacchi al nostro lavoro: quelli  finalizzati a far credere che, la nostra, sia una inchiesta “politica”, fondata su “ teoremi preconcetti”:
L’ampiezza e la trasversalità dei settori del mondo politico e di quello dei “media” che spingono l’opinione pubblica in questa direzione, mi rende sempre più convinto che il nostro lavoro provoca il fastidio e le  paure dei tanti che  pensano che la ricerca della verità debba arrestarsi quando al suo orizzonte si profila uno scenario scabroso: quello dei rapporti della Mafia con la Politica e le Istituzioni.




Quella memoria è l’ultimo atto firmato dal procuratore aggiunto Antonio Ingoia prima di collocarsi fuori ruolo per assumere un incarico direttivo in Guatemala per conto delle Nazioni Unite. Quanto mancherà l’apporto di Ingoia alla procura di Palermo?

Il trasferimento, spero solo temporaneo, del collega Ingroia rappresenta per me, per i colleghi del “pool”, per l’intera Procura di Palermo, una grave perdita. Non solo per il venir meno della “memoria storica” che Antonio assicurava ma, fatto ancor più importante,  per il modo in cui Ingroia ha sempre impostato la sua attività di magistrato inquirente. La professionalità, il coraggio, l’indipendenza da ogni altro potere (ufficiale od occulto), la capacità di saper dimostrare (con i fatti e non solo a parole) che la legge è uguale per tutti. La capacità e la volontà di rapportarsi con l’opinione pubblica per cercare di coinvolgerla nella condivisione della fondamentale importanza della legalità e della ricerca della verità.




      Si imputa alla magistratura un ruolo sostitutivo nell’affrontare temi politici. A Taranto la salubrità ambientale col rischio di deindustrializzazione. All’Aquila la responsabilità di informare correttamente nel momento in cui emerge l’imminenza del rischio sismico. La corruzione negli appalti e nelle esportazioni che toccano vertici istituzionali come il Viminale, la Protezione Civile, Finmeccanica. Fermiamoci a questi esempi. Può accadere tutto questo a totale insaputa di una classe dirigente?

Nella storia più recente del Nostro Paese emerge una costante che ha caratterizzato soprattutto gli ultimi venti anni. La politica, le pubbliche amministrazioni, gli ordini professionali, le diverse autorità di vigilanza hanno di fatto delegato esclusivamente alla magistratura il controllo di legalità. Salvo poi lamentarsi degli effetti di tale delega, accusando la magistratura di aver invaso campi che non le sono propri. Sono convinto che la realtà sia ben diversa; non è stata la Magistratura a muovere indebitamente passi in avanti; sono state le altre Istituzioni (e quelle politiche in primo luogo) a fare non uno ma cento “passi indietro”, preferendo non assumersi le rispettive responsabilità, lasciando prosperare l’illegalità fino ad una sua diffusione così generalizzata da costituire una  grave forma di alterazione dell’equilibrio democratico delle nostre istituzioni.






 Già nel 2001, a proposito delle stragi Falcone e Borsellino, lei scriveva, “E’ importante conoscere e far conoscere, quello che è emerso nei dibattimenti sulle stragi. Lo è ancor di più in un momento come quello attuale, nel quale sull’argomento è calato un silenzio assoluto”. Qualcuno è cresciuto, ha fatto carriera grazie alla stretta osservanza di quel silenzio? Qualcuno dispiega ancora il proprio potere all’ombra di quel silenzio?

      Ci sono ancora, per fortuna, magistrati che non considerano chiuso il “capitolo Stragi”. Ciò, nonostante in molti ( al di là delle parole che pronunciano in occasione degli anniversari) in realtà pensano  che continuare ad indagare sui moventi, ancora nascosti, e sui mandanti occulti  di quei delitti, costituisca una perdita di tempo ed uno spreco di risorse pubbliche. Noi ci ostineremo a cercare di far luce su ciò che accadde in quegli anni; lo faremo traendo spunto, tra l’altro, da ciò che è emerso dalle sentenze, alcune anche definitive, delle Corti di Assise che hanno condannato gli esecutori mafiosi di quelle stragi. E’, ad esempio, in quelle sentenze che è consacrata la certezza processuale che l’uccisione di Borsellino sia stata “improvvisamente accelerata”, rispetto alla originaria programmazione dei capi di Cosa Nostra. E’ in quelle sentenze che viene affermato che la “Trattativa”  Stato -Mafia ci fu e che il contatto venne inizialmente cercato proprio da esponenti delle Istituzioni, evidentemente impauriti dalla prima esplicazione (con l’omicidio Lima) della strategia stragista di Cosa Nostra.





- Le chiedevo prima di una sua postfazione ad un libro di un collega. Ci sono stati giudici come il compianto Gabriele Chelazzi, lei tra i primi con Luca Tescaroli, autore di quel libro, “Perché fu ucciso Giovanni Falcone”, Alfonso Sabella… mi fermo qui con le citazioni. Siete stati tra i primi a non accontentarvi della verità formale, processuale. Vi siete posti il tema della “accelerazione” della strage Borsellino coincisa con l’abbandono della strage che aveva per obiettivo il ministro Calogero Mannino. E’ lì che avete cominciato ad avvertire sotto assedio le vostre toghe?

      Ho già spiegato perché la partenza di Antonio Ingroia costituisce una grave perdita per tutto l’Ufficio. Chi pensa, magari illudendosi, che le indagini ed i processi sulla Trattativa subiranno uno “stop” o un rallentamento, però si sbaglia. Fin dall’inizio, con Ingroia, ho seguito e condotto ogni passo dell’inchiesta. Nel tempo, con l’innesto nel “pool” di Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, si è formato un gruppo di magistrati determinato a fare fino in fondo il proprio dovere, nonostante la precisa consapevolezza che numerosi ed insidiosi saranno gli ostacoli che continueranno ad essere frapposti alla ricerca della verità.




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