Nino Di Matteo: “la “Trattativa”
Stato -Mafia ci fu e il contatto venne inizialmente cercato da esponenti
delle Istituzioni”
Intervista di Pino Finocchiaro
Nino Di Matteo, sostituto procuratore della Dda di Palermo,
è il componente più anziano tra quelli legati al pool che indaga sulla
trattativa. Tocca a lui guidare l’accusa nel processo contro il generale Mori e
nella richiesta di rinvio a giudizio per boss, carabinieri e politici coinvolti
nella trattativa. Imputati e testimoni di quelle vicende ruotano attorno al
sistema di poteri occulti che rendono potente, osservata e temuta la Mafia
Grigia. Tra loro, un vero boss della cupola dei colletti bianchi come Rosario
Cattafi, detentore dei più grigi tra i misteri d’Italia, legato da sempre agli
ambienti più ombrosi dei Servizi e delle Trame Nera nel rapporto costante con i
leader di Cosa Nostra. Alla sbarra ministri e generali accusati di aver
stipulato un patto con Cosa Nostra. Nella memoria depositata il 5 novembre
scorso – l’ultimo atto firmato dal procuratore aggiunto Antonio Ingoia prima di
partire per il Guatemala – i pm spiegano che la “trattativa” non “è stata
limitata a obiettivi tattici come la tregua per risparmiare gli uomini
politici” o “l’allentamento del 41 bis” ma “un nuovo patto di convivenza
Stato-mafia, senza il quale Cosa Nostra non avrebbe potuto sopravvivere”. Una
verità che emerge pian piano tra la neghittosità dei politici e la reticenza di
chi si trincera dietro la ragion di Stato. Nino Di Matteo ne parla in esclusiva
per i Siciliani-Giovani.
- “L’unica vera Ragione di Stato è quella verità che
questo Ufficio non ha mai smesso, e mai smetterà, di cercare”. Scrivete nella
memoria a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio per minaccia a corpo dello Stato che vede
imputati boss, uomini delle istituzioni ed esponenti della politica. Il
riferimento è alla trattativa Stato-Mafia all’epoca delle stragi del ’92-’93.
Perché, dopo vent’anni la verità fa ancora paura?
Tante
volte mi sono chiesto, e continuo a farlo anche oggi, quali siano le reali
motivazioni della manifesta ostilità nei confronti dell’ inchiesta sulla
trattativa “Stato-Mafia”. E’ chiaro che la critica, quando proviene da chi
conosce le carte ed articola in buona fede il suo ragionamento, è sempre
legittima. Ritengo invece inaccettabili i ripetuti e violenti attacchi al
nostro lavoro: quelli finalizzati a far credere che, la nostra, sia una
inchiesta “politica”, fondata su “ teoremi preconcetti”:
L’ampiezza e la
trasversalità dei settori del mondo politico e di quello dei “media” che
spingono l’opinione pubblica in questa direzione, mi rende sempre più convinto
che il nostro lavoro provoca il fastidio e le paure dei tanti che
pensano che la ricerca della verità debba arrestarsi quando al suo orizzonte si
profila uno scenario scabroso: quello dei rapporti della Mafia con la Politica
e le Istituzioni.
– Quella memoria è l’ultimo atto firmato dal procuratore
aggiunto Antonio Ingoia prima di collocarsi fuori ruolo per assumere un
incarico direttivo in Guatemala per conto delle Nazioni Unite. Quanto mancherà
l’apporto di Ingoia alla procura di Palermo?
Il trasferimento, spero solo temporaneo, del collega Ingroia
rappresenta per me, per i colleghi del “pool”, per l’intera Procura di Palermo,
una grave perdita. Non solo per il venir meno della “memoria storica” che
Antonio assicurava ma, fatto ancor più importante, per il modo in cui
Ingroia ha sempre impostato la sua attività di magistrato inquirente. La
professionalità, il coraggio, l’indipendenza da ogni altro potere (ufficiale od
occulto), la capacità di saper dimostrare (con i fatti e non solo a parole) che
la legge è uguale per tutti. La capacità e la volontà di rapportarsi con
l’opinione pubblica per cercare di coinvolgerla nella condivisione della
fondamentale importanza della legalità e della ricerca della verità.
– Si
imputa alla magistratura un ruolo sostitutivo nell’affrontare temi politici. A
Taranto la salubrità ambientale col rischio di deindustrializzazione.
All’Aquila la responsabilità di informare correttamente nel momento in cui
emerge l’imminenza del rischio sismico. La corruzione negli appalti e nelle
esportazioni che toccano vertici istituzionali come il Viminale, la Protezione
Civile, Finmeccanica. Fermiamoci a questi esempi. Può accadere tutto questo a
totale insaputa di una classe dirigente?
Nella storia più recente
del Nostro Paese emerge una costante che ha caratterizzato soprattutto gli
ultimi venti anni. La politica, le pubbliche amministrazioni, gli ordini
professionali, le diverse autorità di vigilanza hanno di fatto delegato
esclusivamente alla magistratura il controllo di legalità. Salvo poi lamentarsi
degli effetti di tale delega, accusando la magistratura di aver invaso campi
che non le sono propri. Sono convinto che la realtà sia ben diversa; non è
stata la Magistratura a muovere indebitamente passi in avanti; sono state le
altre Istituzioni (e quelle politiche in primo luogo) a fare non uno ma cento
“passi indietro”, preferendo non assumersi le rispettive responsabilità,
lasciando prosperare l’illegalità fino ad una sua diffusione così generalizzata
da costituire una grave forma di alterazione dell’equilibrio democratico
delle nostre istituzioni.
– Già nel
2001, a proposito delle stragi Falcone e Borsellino, lei scriveva, “E’ importante
conoscere e far conoscere, quello che è emerso nei dibattimenti sulle stragi.
Lo è ancor di più in un momento come quello attuale, nel quale sull’argomento è
calato un silenzio assoluto”. Qualcuno è cresciuto, ha fatto carriera grazie
alla stretta osservanza di quel silenzio? Qualcuno dispiega ancora il proprio
potere all’ombra di quel silenzio?
Ci
sono ancora, per fortuna, magistrati che non considerano chiuso il “capitolo
Stragi”. Ciò, nonostante in molti ( al di là delle parole che pronunciano in
occasione degli anniversari) in realtà pensano che continuare ad indagare
sui moventi, ancora nascosti, e sui mandanti occulti di quei delitti,
costituisca una perdita di tempo ed uno spreco di risorse pubbliche. Noi ci
ostineremo a cercare di far luce su ciò che accadde in quegli anni; lo faremo
traendo spunto, tra l’altro, da ciò che è emerso dalle sentenze, alcune anche
definitive, delle Corti di Assise che hanno condannato gli esecutori mafiosi di
quelle stragi. E’, ad esempio, in quelle sentenze che è consacrata la certezza
processuale che l’uccisione di Borsellino sia stata “improvvisamente
accelerata”, rispetto alla originaria programmazione dei capi di Cosa Nostra.
E’ in quelle sentenze che viene affermato che la “Trattativa” Stato -Mafia
ci fu e che il contatto venne inizialmente cercato proprio da esponenti delle
Istituzioni, evidentemente impauriti dalla prima esplicazione (con l’omicidio
Lima) della strategia stragista di Cosa Nostra.
- Le chiedevo prima di una sua postfazione ad un libro di
un collega. Ci sono stati giudici come il compianto Gabriele Chelazzi, lei tra
i primi con Luca Tescaroli, autore di quel libro, “Perché fu ucciso Giovanni
Falcone”, Alfonso Sabella… mi fermo qui con le citazioni. Siete stati tra i
primi a non accontentarvi della verità formale, processuale. Vi siete posti il
tema della “accelerazione” della strage Borsellino coincisa con l’abbandono
della strage che aveva per obiettivo il ministro Calogero Mannino. E’ lì che
avete cominciato ad avvertire sotto assedio le vostre toghe?
Ho
già spiegato perché la partenza di Antonio Ingroia costituisce una grave
perdita per tutto l’Ufficio. Chi pensa, magari illudendosi, che le indagini ed
i processi sulla Trattativa subiranno uno “stop” o un rallentamento, però si
sbaglia. Fin dall’inizio, con Ingroia, ho seguito e condotto ogni passo
dell’inchiesta. Nel tempo, con l’innesto nel “pool” di Lia Sava, Francesco Del
Bene e Roberto Tartaglia, si è formato un gruppo di magistrati determinato a
fare fino in fondo il proprio dovere, nonostante la precisa consapevolezza che
numerosi ed insidiosi saranno gli ostacoli che continueranno ad essere
frapposti alla ricerca della verità.
Nessun commento:
Posta un commento