Di
che colore è la mafia? Per Pino Finocchiaro, redattore di Rai News 24, è
grigia. Grigia come il cielo d’autunno che si insinua nelle pieghe
dell’anima e uno si sente disturbato senza un reale perché. Grigia,
senza sfumature, perfetto mix del nero piovra e del bianco dei colletti
inamidati di insospettabili politici, imprenditori e professionisti
invischiati in un abbraccio mortale con la mafia. Finocchiaro ne ha
parlato nel libro pubblicato di recente da Editori Internazionali
Riuniti, “La mafia grigia. La cupola dei colletti bianchi.”
Il suo punto di vista apre il libro. La frase iniziale non lascia adito a fraintendimenti: “La grande forza delle mafie sta nel consenso”. Come si ottiene?
Favorendo le assunzioni per
appartenenza piuttosto che per merito. Riducendo i costi del lavoro e
degli appalti, abbattendo la conflittualità sindacale, portando le
relazioni industriali al di fuori dell’azienda. Mantenendo una rete di
conoscenze. Lucrando disponibilità da parte dei colletti bianchi.
Garantendo la vittoria nelle competizioni elettorali. Il voto di
scambio, in questi casi, non si concretizza con uno scambio di denaro.
Esempio emblematico: il decreto di scioglimento di Reggio Calabria
parla di contiguità e non di infiltrazione mafiosa. L’infiltrazione può
avvenire con la forza, l’intimidazione, il ricatto. La contiguità è
frutto di intese, figlia del consenso. Nasce dal compromesso non dalla
costrizione.
Quello che propone al lettore è un viaggio nel cuore delle mafie, dove la cupola dei colletti bianchi movimenta a piacimento consenso e consensi. Come si può almeno scheggiare questo modo di operare così subdolo?
Penso alle parole di Titta Scidà, magistrato del Tribunale dei Minori di Catania scomparso qualche tempo fa: “Bisogna saper dire di no, prima che agli altri, a se stessi”.
A proposito di Scidà “Catania deve sapere condannare se stessa, come madre, alla buona condotta. Lo stato deve tornare a Catania”,
disse in un’intervista a Carmen la Sorella, durante il tg2, negli anni
’90. Il suo lavoro ed insegnamento sono ancora attuali… come non far
cadere la memoria?
Catania continua ad autoassolversi,
dimenticando. Travisando la verità. Il quotidiano locale dedica poche
righe alla scomparsa del giudice Titta Scidà. Un grande articolo per la
morte del boss Giuseppe Ercolano, padre di quell’Aldo Ercolano che ha
premuto il grilletto cinque volte per colpire alla testa Pippo Fava. Lo
stato a Catania c’è: è la cupola dei colletti bianchi. Quello con la S
maiuscola è in affanno. Si batte. Altri investigatori, altri magistrati
seguono l’esempio di Titta Scidà.
Con quali inchieste e in che modo, da giornalista, ha narrato la mafia di vent’anni fa?
Ho parlato dei consigli per gli
acquisti. Accordo per cui oltre al pagamento del pizzo sui banchi della
grande distribuzione apparivano i prodotti delle aziende mafiose. Un
caseificio apparteneva a un killer. L’accordo ha portato col tempo al
controllo pressoché assoluto della logistica e dei trasporti. Il resto
si trova sul libro.
In un’intervista recente, ha riconosciuto che i suoi colleghi siciliani, “scrivono
con la coscienza netta, la schiena dritta e la testa alta. Sono
numerosi. Non cercano attestati di merito. Non importa che scrivano
“contro” Cosa Nostra. E’ importante il contributo alla verità.” Sono lasciati soli oppure sono sostenuti dalla popolazione, dalle associazioni di categoria, dallo Stato?
Popolazione è un termine vago. Gli
abitanti della cittadella fanno quel che possono. I padroni della città
tentano di schiacciarli. Talvolta ci riescono. Soffocando, trasferendo,
licenziando, calunniando, isolando. Lo Stato. Mah, lo Stato siamo noi.
Siamo sempre più in pochi.
.....................
Nessun commento:
Posta un commento