mercoledì 10 ottobre 2012

Un piano per la Siderurgia




Taranto, Genova, Piombino, Trieste, Terni. Le capitali della siderurgia italiana guardano al caso Ilva con preoccupazione. L'intervento della magistratura rappresenta l'ennesimo esempio di supplenza delle toghe nelle responsabilità mai colte della politica. In particolare dell'assenza totale di una politica nazionale per la produzione di acciaio in Italia.

Tant'è, il deputato Ludovico Vico, pd, pugliese chiede che il governo convochi un tavolo sulla siderurgia. Far finta di nulla. Peggio, illudersi che le vicende dell'Ilva riguardino solo Taranto e la Puglia mette a repentaglio centomila posti di lavoro. Pone la siderurgia italiana di fronte ad una prospettiva di deindustrializzazione senza alternative.

D'altra parte le responsabilità non sono solo politiche. L'Ilva di Taranto dalla sua privatizzazione con la cessione dall'Italsider alla famiglia Riva è stata indirizzata su criteri produttivi ad alto sfruttamento delle risorse e delle strutture degni dell'epoca dei padroni delle ferriere.

Leggiamo i numeri. Il gruppo Riva Fire vanta di aver speso un miliardo e mezzo di euro dal 1995 ad oggi per il miglioramento dello stabilimento. Insomma, meno di cento milioni l'anno. Può un'azienda che nel 2011 ha fatturato sei miliardi di euro con un incremento del 34 per cento della produzione spendere solo cento milioni l'anno per l'ammodernamento? Se avesse speso 400 milioni l'anno oggi l'Ilva non avrebbe il problema di reperire i quattro miliardi di euro necessari all'adeguamento ambientale e all'ammodernamento del più grande centro siderurgico d'Europa.

Siamo alla vigilia dell'ultimatum fissato dalla procura per l'avvio dello spegnimento degli altiforni e delle altre strutture considerate inquinanti. Siamo alla vigilia della determinazione dell'Autorizzazione integrata ambientale che il ministro Corrado Clini preannuncia severa e destinata a migliorare la qualità della produzione. Il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, promette piena collaborazione.

Ma Taranto non si salva da sola. Politica, istituzioni, sindacato, imprese metalmeccaniche hanno bisogno di un piano, un'idea, un progetto comune da avviare immediatamente. Altrimenti, la siderurgia italiana non ha un futuro.


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