domenica 28 ottobre 2012

Trattativa Stato-Mafio: udienza gup a rischio.





Udienza di rinvio a giudizio a rischio per la trattativa Stato-Mafia. Il legale di uno degli imputati, il colonnello Giuseppe De Donno, contesta al gup, Piergiorgio Morosini di aver espresso valutazioni sul tema in suo libro pubblicato da Rubettino Editore: "Attentato alla giustizia. Magistrati, mafie, impunità".

Secca la replica del giudice: "Non ravviso motivi di incompatibilità che mi inducano ad astenermi. Rimetterò dunque, come prevede la legge, il giudizio alla Corte d'appello" .

L'udienza sarà celebrata ugualmente. Probabile comunque un rinvio preliminare, dato che la Procura ha depositato sette nuovi faldoni di carte. Morosini aveva esposto tesi altrui, senza prendere posizione. De Donno è convinto del contrario. L'udienza è fissata per lunedì mattina, "ore 9 e seguenti", nell'aula bunker B2 del carcere di Pagliarelli a Palermo. E' li che dovrebbero presentarsi i 12 imputati, anche se è molto difficile che politici e mafiosi si ritrovino assieme nella stessa aula di giustizia. Tra l'altro l'udienza, che si terrà davanti al Gup Piergiorgio Morosini, potrebbe essere subito rinviata in via preliminare perché la Procura ha depositato mercoledì nuovi atti, verbali, sentenze e altri accertamenti.

Gli imputati sono cinque mafiosi: Leoluca Bagarella, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Antonino Cinà e il pentito Giovanni Brusca; tre politici: l'ex ministro all'Agricoltura, Calogero Mannino, Marcello Dell'Utri e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, che risponde solo di falsa testimonianza; ci sono poi tre carabinieri, i generali Mario Mori e Antonio Subranni e l'ex colonnello Giuseppe De Donno. E' imputato anche Massimo Ciancimino per concorso in associazione mafiosa e calunnia aggravata.

I reati contestati per i presunti accordi fra Stato e mafia, risalgono al periodo delle stragi del '92-'93, sono quelli di attentato, con violenza o minaccia, a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato, tutto aggravato dall'agevolazione di Cosa nostra. Il patto sarebbe stato suggellato da ex ministri, per mezzo di mafiosi e di un personaggio ritenuto dagli inquirenti "border line" come Dell'Utri, per evitare nuovi attentati: in cambio sarebbe stato offerto un ammorbidimento del 41 bis, il regime di carcere duro previsto per i detenuti legati a Cosa nostra. Ventiquattro gli avvocati impegnati, cinque i pubblici ministeri, guidati dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Forse parteciperà solo alle prime due udienze (se la seconda, come da calendario, si terrà il 31 ottobre) perché poi partirà per il Guatemala, dove dal 5 novembre assumerà un incarico per conto dell'Onu. Gli altri Pm saranno Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.

Il 21 giugno scorso, l'ufficio stampa della Rubettino ha diffuso una nota di Piergiorgio Morosini, tra i leader nazionali di Magistratura Democratica, nel quale cnferma il suo giudizio critico. Per i legali del carabiniere accusato di aver trattato con i boss su mandato di alcuni politici, tra loro l'ex ministro Lillo Mannino, pensano che si possa configurare un pregiudizio.
Queste le dichiarazioni di Piergiorgio Morosini.

"Cosa è successo in quella drammatica estate del 1992 in cui la nostra democrazia ha rischiato di sgretolarsi? Perché alcuni ufficiali dell’Arma hanno deciso di attivare un canale di comunicazione con i "corleonesi" ? Hanno agito in autonomia o dietro l’impulso di personaggi politici? Che contenuto hanno avuto quei contatti tra carabinieri e mafiosi? Il paese della "linea della fermezza" sul caso Moro ha davvero trattato con Riina e compagni? E poi, perché la "strage annunciata" di via D’Amelio? Paolo Borsellino è stato abbandonato dalle istituzioni?

"Con l'iniziativa dei magistrati di Palermo, è il momento giusto affinchè tutti quelli che nell’istituzioni "sanno" dicano agli italiani la verità. Dopo vent’anni, sta per cominciare un processo su una delle pagine più drammatiche della storia della nostra democrazia, culminata nella "strage annunciata" di via D’Amelio, sul cui accertamento delle responsabilità incombono da tempo gravi sospetti di pesanti depistaggi e interferenze, riconosciuti anche in provvedimenti giudiziari.

"La ragion di stato, dettata dall’esigenza di fermare le stragi, non può prevalere su tutto. Lo stato di diritto impone il rispetto delle leggi anche in tutte le iniziative degli apparati di sicurezza. E la ragion di stato non può spingere addirittura alcuni uomini delle istituzioni a compiere delitti in difesa di una repubblica in pericolo, favorendo latitanze di boss, incidendo sulle scelte del governo sul regime detentivo (art.41 bis), garantendo l’impunità a persone che hanno già programmato gravissimi delitti .

"Capire cosa è davvero successo in quella estate del 1992 significa, per l’Italia, avere una democrazia più matura".





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